Cinque anni dopo la pubblicazione della Laudato si'

Giustizia, libertà ed ambiente

20.05.2020

A cinque anni dalla pubblicazione dell'Enciclica, è stata organizzata la Settimana Laudato si', voluta da papa Francesco per rinnovare il suo accorato appello all'umanità intera a prendersi cura della casa comune. In tale occasione pubblichiamo una riflessione del professor Simone Morandini.

Clima come crisi globale

Scrivo mentre l’Italia vive l’impatto del coronavirus, in una fase quindi in cui molte attività sono ferme e chi come me insegna lo fa a distanza, con videolezioni registrate o offerte in diretta: una fase di emergenza, per far fronte alla quale forte è stata la mobilitazione nazionale e la solidarietà internazionale. Poche voci ricordano, però, in questi giorni che c’è anche un’altra emergenza che interessa l’Italia ed assieme ad essa l’intero pianeta; un’emergenza che probabilmente ha fatto più morti del coronavirus ed ancor più è destinata a farne: quella climatica. Ma chi ricorda oggi il grido di Greta Thurnberg (semplicistico, ma incisivo nel segnalare l’urgenza di un problema)? Chi fa memoria dell’impatto del mutamento climatico sul futuro prossimo? Della vulnerabilità del nostro presente di fronte ad esso[1]?

Eppure sul fatto del riscaldamento globale non c’è ormai nessun dibattito scientifico. Basta citare il consenso compendiato nei rapporti dell’IPCC (International Panel on Climate Change)[2]: il mutamento è un fatto, così come la sua natura antropogenica e la varietà dei suoi impatti. E basta guardare agli incendi che nell’estate 2019 hanno interessato Siberia ed Alaska, inusitatamente calde, o a quelli che quest’inverno hanno devastato l’Australia; basta osservare lo scioglimento veloce dei ghiacciai della Groenlandia. Un semplice fatto, dunque. Gli esperti non cessano però di parlarne, scoprendone la drammaticità: solo alcuni testi degli ultimi mesi.

  • Il Rapporto 2019 del relatore su diritti umani e povertà estrema per le Nazioni Unite, Philip Alston, parla di un apartheid climatico, di un’esacerbazione della povertà per lo spostamento delle fasce climatiche[3].
  • Lo studio del Breakthrough National Centre for Climate Restoration di Melbourne si chiede se la velocità del mutamento – che si riteneva destinato a manifestarsi soprattutto verso la fine del secolo – non rischi invece di determinare collassi ecosistemici già dal 2050[4].
  • La carta dell’Adamello[5], evidenzia la triste condizione dei ghiacciai montani, molti dei quali prossimi alla scomparsa (e si pensi agli impatti sull’approvvigionamento d’acqua, sulla sua accessibilità, sulla sua disponibilità per l’agricoltura e la produzione alimentare)… né il fenomeno interessa solo la zona alpina.

 

Antropocene

È chiaro, insomma: il mutamento climatico non è un problema tra altri, ma un meta-problema, da cui ne dipendono numerosissimi altri (tra l’altro gli scenari relativi alla fame, alla povertà ed alla ricchezza nei prossimi decenni). E tuttavia esso è solo uno dei segni caratterizzanti questo tempo, che il Nobel per la Chimica Paul Crutzen[6] ha invitato a designare come Antropocene: la nuova era, in cui i comportamenti umani sono il principale fattore che orienta le dinamiche biologiche e geologiche del pianeta. Tanti segnali in tal senso: le “isole di plastica” negli oceani; il tasso evolutivamente anomalo di estinzioni di specie (la biodiversità è a rischio)[7]; i molti eventi metereologici estremi (si pensi alla tempesta Vaia sulle Alpi).  La storia di questi ultimi secoli – ma con una Grande Accelerazione dopo la II Guerra Mondiale – vede un impatto crescente dell’agire umano, con una scala ed una profondità che aumentano progressivamente, determinando una situazione qualitativamente nuova, un’inedita condizione della famiglia umana sulla Terra. 

Scopriamo, così, di abitare un pianeta vulnerabile, delicato, fragile ed esposto a transizioni (come quando si toglie una vita per volta ad una struttura, finché essa, esaurita la ridondanza, collassa “improvvisamente”). Scopriamo di essere – noi stessi umani vulnerabili, profondamente dipendenti dal pianeta e dal suo stato di salute. Viviamo la paradossale condizione di una famiglia umana che mai è stata così potente, ma al contempo mai così fragile. Il progetto ordinatore della modernità manifesta qui in modo clamoroso i suoi limiti, nell’incapacità di rapportarsi a quella realtà complessa, delicata e preziosa che è l’ecosistema. Solo ora comprendiamo che siamo “vita che vuol vivere in mezzo ad altra vita che vuol vivere” (secondo l’indicazione di A.Schweitzer[8]) e che c’è una solidarietà di destino tra l’umanità e il mondo della vita, nell’esposizione alla minaccia e nella vulnerabilità condivisa.

In tale prospettiva l’umanità si rivela – in molte delle sue componenti socio-culturali – ignorante e superficiale nel sottovalutare il nostro radicamento ecologico; imprevidente nel trascurare le conseguenze a medio termine del proprio agire; arrogante nel misconoscere il senso del limite che esse ci impongono; avida, nel costruire un’economia del profitto a breve termine che contribuisce in modo determinante alla crisi socio-ambientale. Ci scopriamo così (pur in modo differenziato, drammaticamente differenziato) tutti e tutte co-responsabili: fragili vittime, ma anche coinvolti nella stessa devastazione.

 

Come abitare questo tempo?

Ma come uscire dalla crisi? E quali prezzi bisogna pagare? Come impatta, in particolare, l’Antropocene sulle grandi narrazioni otto e novecentesche di giustizia e libertà? Occorre forse abbandonarle, in nome dell’emergenza ecologica?

Non manca chi ha sostenuto simili posizioni, evocando da un lato una sorta di etica della scialuppa di salvataggio: se le risorse non bastano per tutti, l’unica scelta è abbandonare qualcuno al proprio destino, lasciando cadere ogni esigenza di giustizia. Altrettanto grave, d’altra parte, la posizione di chi ritiene che di fronte all’urgenza della crisi socio-ambientale si debba rinunciare a democrazia e libertà: un autoritarismo illuminato non è forse più efficiente? Persino la crisi del coronavirus potrebbe orientare in tal senso sguardi affascinati dall’efficienza cinese nel contenerla (dimenticando peraltro quanto la stessa natura autoritaria del sistema cinese abbia bloccato inizialmente la diffusione delle informazioni e ritardato l’avvio di una reazione).

Non è questa però la prospettiva cui guarda l’etica ambientale più avveduta. Essa preferisce, piuttosto riprendere la prospettiva indicata da Hans Jonas di una responsabilità per le prossime generazioni, declinandola però nel segno della sostenibilità: capacità di soddisfare i bisogni della generazione presente senza precludere analoga possibilità per le generazioni future. Non a caso le Nazioni Unite hanno inserito un forte riferimento ad essa tra gli obiettivi che la comunità politica internazionale si è data in vista del 2030: gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Nelle 17 voci in cui essi si articolano troviamo uno stretto collegamento tra lotta alla povertà e ricerca dell’equità sociale e di genere, tra qualità della vita civile ed azione di tutela dell’ambiente. Una visione autenticamente globale, sia per la varietà delle responsabilità interpellate che per la pluralità delle dimensioni colte – dalla vita biologica all’educazione ed alla giustizia.

In tale prospettiva la sostenibilità esprime uno sguardo decisamente volto al futuro, carico di utopia – e non di retrotopia; uno sguardo che coglie lucidamente le criticità presenti, ma soprattutto spazi per narrare futuri abitabili. Giustamente il portavoce dell’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS) Enrico Giovannini sottolinea che “l’Agenda 2030 è l’espressione dell’unica specie che ha la possibilità di immaginare futuri alternativi e quindi ha la responsabilità di farlo”[9]. La dura critica all’iniqua insostenibilità della forma di sviluppo presente non si fa qui nostalgia del passato, ma innovazione, tesa a costruire vita buona per ogni donna ed ogni uomo, nella giustizia e nella libertà. Occorre, però, agire assieme, agire in fretta, agire efficacemente: il tempo è breve.

 

Una responsabilità ricca di speranza

Un contributo di grande importanza in tal senso viene dall’Enciclica Laudato Si’ di papa Francesco col suo forte invito ad ascoltare il grido dei poveri ed il grido della terra[10]. Occorre tenere assieme l’attenzione per il pianeta – la splendida casa comune che ci sostiene – e quella per i soggetti fragili: solo così si esce dalla crisi, in una responsabilità che interpella politica ed economia, cittadini e consumatori, società civile e mondo delle religioni. Una sfida di vasta portata, che va però anche affrontata con fiducia: papa Francesco sottolinea che “non tutto è perduto (…) gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi” (n.205), sostenuti dal Creatore che non ci abbandona (n.11). È, dunque, possibile “cercare un nuovo inizio”(n.205); “sviluppare una nuova capacità”(n.206); “nuove abitudini” (n.209); “diffondere un nuovo modello riguardo all’essere umano, alla vita, alla società e alla relazione con la natura” (n.215). L’Enciclica coglie appieno la gravità della crisi socio-ambientale, ma orienta comunque ad una scommessa positiva, fiduciosa nell’imprevedibile capacità del nuovo di quegli esseri culturali che noi siamo, oltre la coazione a ripetere.

È una fiducia radicata soprattutto nella potenza rinnovatrice del Dio che ci sostiene, nella convinzione che anche l’Antropocene non è mai soltanto tale: c’è una speranza che consente di qualificare anche il tempo più oscuro come Teo-cene (abitato e sostenuto da una segreta presenza amante). Veniamo così liberati dal delirio di onnipotenza, così come dal peso dell’inadeguatezza, e possiamo osare la pace per fede (per riprendere l’espressione bonhoefferiana), in un tempo in cui essa si intreccia con giustizia e sostenibilità. Impegno e fiducia si radicano dunque nel “vangelo della creazione” – per riprendere il titolo del II capitolo di Laudato Si’. È la storia della tenerezza di Dio per ogni creatura, della sua passione vivificante per quella creazione, che Egli sostiene ogni giorno, come tenendola nelle sue mani. È l’invito a condividere noi stessi tale amore, assumendolo come componente essenziale della sequela di quel Gesù di Nazareth che l’ha fatta sua, in uno sguardo pieno di amore sul creato.

La fede cristiana appare allora – secondo l’indicazione del teologo evangelico J. Moltmann – come portatrice di una promessa da testimoniare per la creazione tutta, in una tenace, testarda speranza[11]. Non certo un’ingenua fiducia nel progresso, ma la capacità di dire “nonostante…”, di lottare contro la negatività anche quando essa sembra soverchiante; di ricercare tenacemente la giustizia e la vita della casa comune, anche quando esse sembrano più distanti.

 

Simone Morandini, Istituto di Studi Ecumenici “San Bernardino” – Venezia, Fondazione Lanza – Padova

Articolo apparso nel numero 261 della rivista “Dialoghi”.

 

[1] Rimandiamo, più ampiamente, a M.Mascia, S.Morandini, Etica del mutamento climatico, Morcelliana, Brescia 2015.

[2] www.ipcc.ch.

[3] https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=24912&LangID=E.

[4] https://docs.wixstatic.com/ugd/148cb0_90dc2a2637f348edae45943a88da04d4.pdf.

[5] https://webmagazine.unitn.it/news/ateneo/65661/firmata-la-carta-dell-adamello-in-difesa-del-clima.

[6] P.J.Crutzen, Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era, Mondadori, Milano 2005.

[7] In tal senso il rapporto IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), www.ipbes.net.

[8] È questo l’assioma fondamentale dell’etica della reverenza per la vita presentata in A.Schweitzer, Rispetto per la vita, Claudiana/Paideia, Torino 2019.

[9] E.Giovannini, L’utopia della sostenibilità, in S.Morandini (a cura), Etica delle generazioni, Proget, Padova 2019, pp. 81-92, qui p. 87.

[10] Sull’Enciclica di papa Francesco (accessibile su www.vatican.va) rimando a S.Morandini, Laudato si’. Un’Enciclica per la terra, Cittadella, Assisi 2015; Id., Un amore più grande del cosmo. Laudato Si’ per un anno di misericordia, Cittadella, Assisi 2016.

[11] J. Moltmann, Dio nella creazione. Una teologia ecologica della creazione, Queriniana, Brescia 1982; Id., Etica della speranza, Queriniana, Brescia 2011.

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